L'Orlando Furioso e' un poema epico del '500 scritto da Ludovico Ariosto.
Ed e' geniale. Sul serio.
E' obiettivamente una lettura un po' piu' impegnata di "La principessa Raggio di Sole e il cane puzzolente" ma, devo ammettere, soddisfacente.
A parte lo stile di scrittura, considerare che e' un'opera che ha 5 secoli di bagaglio culturale in meno e una gestione di trame e sottotrame migliore di molte opere piu' recenti fa riflettere.
Lo sto rileggendo. Devo ammettere che riparafrasando alcuni pezzi e'... illuminante. Spiego con la prima scena, che mi ha colpito (e che avevo dimenticato).
Nata pochi dì inanzi era una gara
tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
che entrambi avean per la bellezza rara
d'amoroso disio l'animo caldo.
Carlo, che non avea tal lite cara,
che gli rendea l'aiuto lor men saldo,
questa donzella, che la causa n'era,
tolse, e diè in mano al duca di Bavera;
in premio promettendola a quel d'essi,
ch'in quel conflitto, in quella gran giornata,
degl'infideli più copia uccidessi,
e di sua man prestasse opra più grata.
Contrari ai voti poi furo i successi;
ch'in fuga andò la gente battezzata,
e con molti altri fu 'l duca prigione,
e restò abbandonato il padiglione.
Dove, poi che rimase la donzella
ch'esser dovea del vincitor mercede,
inanzi al caso era salita in sella,
e quando bisognò le spalle diede,
presaga che quel giorno esser rubella
dovea Fortuna alla cristiana fede:
entrò in un bosco, e ne la stretta via
rincontrò un cavallier ch'a piè venìa.
Indosso la corazza, l'elmo in testa,
la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo;
e più leggier correa per la foresta,
ch'al pallio rosso il villan mezzo ignudo.
Timida pastorella mai sì presta
non volse piede inanzi a serpe crudo,
come Angelica tosto il freno torse,
che del guerrier, ch'a piè venìa, s'accorse.
Era costui quel paladin gagliardo,
figliuol d'Amon, signor di Montalbano,
a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo
per strano caso uscito era di mano.
Come alla donna egli drizzò lo sguardo,
riconobbe, quantunque di lontano,
l'angelico sembiante e quel bel volto
ch'all'amorose reti il tenea involto.
La donna il palafreno a dietro volta,
e per la selva a tutta briglia il caccia;
né per la rara più che per la folta,
la più sicura e miglior via procaccia:
ma pallida, tremando, e di sé tolta,
lascia cura al destrier che la via faccia.
Di sù di giù, ne l'alta selva fiera
tanto girò, che venne a una riviera.
Su la riviera Ferraù trovosse
di sudor pieno e tutto polveroso.
Da la battaglia dianzi lo rimosse
un gran disio di bere e di riposo;
e poi, mal grado suo, quivi fermosse,
perché, de l'acqua ingordo e frettoloso,
l'elmo nel fiume si lasciò cadere,
né l'avea potuto anco riavere.
Quanto potea più forte, ne veniva
gridando la donzella ispaventata.
A quella voce salta in su la riva
il Saracino, e nel viso la guata;
e la conosce subito ch'arriva,
ben che di timor pallida e turbata,
e sien più dì che non n'udì novella,
che senza dubbio ell'è Angelica bella.
E perché era cortese, e n'avea forse
non men de' dui cugini il petto caldo,
l'aiuto che potea tutto le porse,
pur come avesse l'elmo, ardito e baldo:
trasse la spada, e minacciando corse
dove poco di lui temea Rinaldo.
Più volte s'eran già non pur veduti,
m'al paragon de l'arme conosciuti.
Cominciar quivi una crudel battaglia,
come a piè si trovar, coi brandi ignudi:
non che le piastre e la minuta maglia,
ma ai colpi lor non reggerian gl'incudi.
Or, mentre l'un con l'altro si travaglia,
bisogna al palafren che 'l passo studi;
che quanto può menar de le calcagna,
colei lo caccia al bosco e alla campagna.
Poi che s'affaticar gran pezzo invano
i dui guerrier per por l'un l'altro sotto,
quando non meno era con l'arme in mano
questo di quel, né quel di questo dotto;
fu primiero il signor di Montalbano,
ch'al cavallier di Spagna fece motto,
sì come quel ch'ha nel cuor tanto fuoco,
che tutto n'arde e non ritrova loco.
Disse al pagan: - Me sol creduto avrai,
e pur avrai te meco ancora offeso:
se questo avvien perché i fulgenti rai
del nuovo sol t'abbino il petto acceso,
di farmi qui tardar che guadagno hai?
che quando ancor tu m'abbi morto o preso,
non però tua la bella donna fia;
che, mentre noi tardiam, se ne va via.
Quanto fia meglio, amandola tu ancora,
che tu le venga a traversar la strada,
a ritenerla e farle far dimora,
prima che più lontana se ne vada!
Come l'avremo in potestate, allora
di chi esser de' si provi con la spada:
non so altrimenti, dopo un lungo affanno,
che possa riuscirci altro che danno. -
Al pagan la proposta non dispiacque:
così fu differita la tenzone;
e tal tregua tra lor subito nacque,
sì l'odio e l'ira va in oblivione,
che 'l pagano al partir da le fresche acque
non lasciò a piedi il buon figliuol d'Amone:
con preghi invita, ed al fin toglie in groppa,
e per l'orme d'Angelica galoppa.
Oh gran bontà de' cavallieri antiqui!
Eran rivali, eran di fé diversi,
e si sentian degli aspri colpi iniqui
per tutta la persona anco dolersi;
e pur per selve oscure e calli obliqui
insieme van senza sospetto aversi.
Da quattro sproni il destrier punto arriva
ove una strada in due si dipartiva.
Ora, rivediamo il tutto:
Pochi giorni prima della battaglia era nata una disputa tra il conte Orlando e suo cugino Rinaldo: entrambi scalpitavano... "infiammati di passione", diciamo, ecco, diciamo cosi', per la "rara bellezza" (di Angelica, principessa del Catai). Re Carlo non era per nulla contento della lite perche' distraeva i due cavalieri dalla guerra e quindi prende la donna e la consegna in custodia al duca di Baviera. «Angelica andra' a chi uccidera' piu' infedeli nella battaglia di oggi e si procurera' piu' onore sul campo di battaglia!». Facile a dirsi.
Il destino decide altrimenti: i cavalieri cristiani le prendono, l'esercito va in rotta, il duca viene fatto prigioniero e l'accampamento abbandonato. Ma senza Angelica che, trovato un cavallo e prevedendo che la giornata sarebbe stata tra le piu' sfigate, scappa in fretta e furia.
Angelica viene a sapere di aver ragione riguardo alla sfiga nel giro di qualche minuto: nel bosco trova Rinaldo che, caduto da cavallo, sta correndo disperato per cercarlo.
Rinaldo vede Angelica e sospira d'amore (si diceva cosi', all'epoca).
Angelica vede Rinaldo e impreca (non c'e' scritto ma secondo me impreca), gira il cavallo e via, in fuga! Non pensa a trovare la strada migliore ma pensa a correre. Veloce. Molto veloce. Al punto che si perde e finisce in prossimita' di un fiume.
Al fiume c'e' Ferrau', guerriero musulmano, che si era accaldato, aveva sete, voleva bere e, goffo, gli era caduto l'elmo nel fiume. Era li' che cercava quando arriva Angelica.
Ferrau' vede Angelica e sospira d'amore (Angelica produceva feromoni in quantita', si suppone).
Angelica vede Ferrau', impreca di nuovo (no, non c'e' scritto neanche qui, ma...) e manda il cavallo a briglia sciolta, in fuga, sempre piu' in fuga!
Ferrau', per cercare di compiacere Angelica, si frappone e cerca di fermare Rinaldo: i due combattono ferocemente, gli scudi si spaccano, le corazze si riempiono di ammaccature, entrambi sono ottimi guerrieri, entrambi sanno menar di spada ed entrambi se le danno di santa ragione.
Rinaldo, pero', ad un certo punto sbotta con una frase che, meno ingentilita, suona come «Bello scontro, però, mentre ci meniamo, la figa laggiù sta scappando... se prima la catturassimo e ci menassimo dopo?»
Anche secondo Ferrau', in effetti, l'idea e' buona. Lo scontro viene rinviato ad un momento migliore e i due partono all'inseguimento.
«Si - dice Rinaldo - pero' io avrei perso il cavallo, non posso continuare»
«Ma non e' un problema - risponde Ferrau' - ti do un passaggio io!»
Ed ecco che i due, di due eserciti diversi, che se le sono suonate fino ad un minuto prima, cavalcano insieme alla ricerca della fanciulla. Potere della fi dell'amore!
L'inseguimento procede fino ad incontrare l'incubo di ogni inseguitore: un bivio privo di tracce evidenti.
Ora... ammetto che le immagini che mi si formano in testa sono diverse da quelle che mi si formavano quando ero un cretino adolescente, ma l'opera e' e resta grandiosa.
Poi tocchera' alla Gerusalemme Liberata (le tocchera' venir letta, non venire stuprata in libere parafrasi, ecco).
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