A good puzzle it's a fair thing. Nobody is lying, it's very clear, and the problem depends just on you.
--Erno Rubik
E' tutto un cubo di Rubik. E' la mia frase su Facebook ed una mia saggia amica ha anche replicato subito "quanto hai ragione!"
Gia' l'aveva sottolineato l'ale sul un
post sul suo blog, riprendendo il pensiero trovato in giro per la rete, ma questo weekend mi ha dato una conferma grossa.
La prima riflessione porterebbe a dire che sei davanti a questo maledetto cubo, la cui soluzione piu' semplice sarebbe di distruggerlo e rimontarlo da zero, ma non si fa, non e' nelle regole.
Allora ti ci sbatti, ci ragioni e, con fatica, riesci a rimettere in sesto un lato.
Oh, un lato e' finito! Ti senti soddisfatto e padrone dell'universo.
Finche' non guardi il resto del cubo e ti accorgi che e' una porcheria.
Che ti sei sbattuto su un lato ed hai mandato a
putt donne di facili costumi tutto il resto.
Ma si va avanti.
Si comincia a chiedere. A confrontarsi. Ad andare per tentativi e vedere che risultati arrivano.
E ti accorgi che se vuoi fare in modo che la tua faccia risolta voglia dire qualcosa, non puoi ignorare tutto quello che c'e' intorno.
E che se consideri tutto quello che c'e' intorno, il passo dopo viene quasi da solo, perche' si incasella tutto in ordine, e risolvi due strati su tre.
Gia', due su tre.
Perche' poi c'e' l'ultimo strato.
Quello che non vuole saperne di rimettersi a posto da solo.
Quello che... si vabbe', ma come faccio a rimetterlo a posto? Mi tocca andare a toccare il resto!
E se mi si scombina il resto? E' da rifare da capo!
Si arriva li.
O ti butti e rischi di vedere quello che hai costruito finora andare a quel paese, oppure rimani li con il tuo cubo incompleto, dicendo "beh, due strati su tre, niente male!", perfettamente conscio del fatto che cosi' com'e' fa cagare, e' li che urla "finiscimi, bastardo!" e stai facendo orecchie da mercante.
Finche' non lo si piglia in mano e si ricomincia.
All'inizio con prudenza.
Poi ti butti. Si sminchia, tocca rifare alcuni pezzi ma oramai quelli sono il meno, non li consideri nemmeno un problema, diventano una perturbazione passeggera che rimetti a posto in un battito di ciglia, insisti, smontando e ricostruendo con una confidenza che ti fa capire che non stai nemmeno smontando, sai come rimetterli a posto, stai riordinando.
Ed arrivi agli ultimi due drammatici cubetti.
Tutto a posto.
Tranne loro due.
Eccheccazzo!
La tentazione di appoggiarlo con i due cubetti in basso, rivolti verso il muro e' alta. Non lo noterebbe nessuno.
A meno che qualcuno non lo prenda in mano.
Ed un cubo di Rubik, prima o poi, qualcuno che lo prende in mano salta fuori.
Siamo arrivati fin qui. Ti fermi agli ultimi due?
E via, a smontare e rimontare in un modo che, a vederlo da fuori, sembra un demolire tutto quello che e' stato fatto, un mettere casino, una demolizione totale dell'ordine che si e' creato.
Poi sono 4 mosse.
Clac.
Clac.
Clac.
Clac.
Ed e' fatta!
...e adesso?
E adesso che l'hai finito resta li, a simbolo del fatto che ci sei riuscito, hai vinto, stop, non ce n'e' per nessuno, out!
Si, certo, come no. Mai finito un cubo di Rubik, vero?
Una volta che l'hai finito lo smonti e lo rimonti, e vedi che hai capito davvero come manovrarlo, come agire, come fargli fare quello che vuoi.
E ti accorgi che risolverlo come vorrebbe la gente normale e' il meno. E' quasi noioso.
Una volta che hai capito davvero cosa ci si puo' fare, scopri la tua soluzione, disegnata sul cubo, che fa capire che non l'hai risolto, ma ne hai il controllo e sai, finalmente, cosa fare.